Caprotti, Grande d'Italia

Di seguito il post di Harry, di cui mi sono appropriato in maniera indebita... ;-)
Il libro Falce e carrello, scritto dal fondatore di Esselunga Bernardo Caprotti, è molto più di un j’accuse: è un’inchiesta sul sistema cooperativistico italiano. Prefatto da Geminello Alvi e corredato da documenti inediti e politicamente rilevanti, non si limita a denunciare la sproporzione fra ragione sociale delle cooperative e loro ruolo nel mercato: già è noto che il sistema delle cooperative, essendo finalizzato a scopi mutualistici e sociali, gode di vantaggi fiscali notevoli (dalle agevolazioni sull’Ires al prestito sociale), elementi che di per sé inquinano la competizione nel momento in cui le Coop, partendo da posizioni di privilegio, operano nel mercato con aziende che pagano tasse più elevate e che per investire sono obbligate a ricorrere a prestiti bancari.Caprotti va ben oltre e documenta, con dovizia di particolari, quel pericoloso intreccio economico, finanziario e politico, quelle consorterie – è proprio il caso di dirlo – di cui le cooperative rosse sono parte fondante: partito, amministrazioni locali, Parlamento, cooperative, sindacato. Un gioco in cui gli stessi uomini occupano posti interscambiabili, a dimostrazione delle relazioni tra i diversi ingranaggi dello stesso meccanismo.L’idea del libro nasce da un periodo di estreme pressioni cui Esselunga viene sottoposta, con interventi di esponenti politici dell’ex Pci e delle Coop che, di fronte a voci poi smentite sulla possibile vendita del gruppo, paventano il “rischio” della cessione a stranieri e invocano la cessione a Coop, fino all’intervista a Porta a Porta di Romano Prodi il quale, in campagna elettorale, nel 2006, propone addirittura un intervento del governo venturo per sollecitare l’acquisto di Esselunga da parte di Coop. E il braccio sindacale del sistema coop-Pci, la Cgil, indice scioperi in Toscana per bloccare il funzionamento di Esselunga: scioperi che, non avendo adesioni tra i dipendenti, si riducono a tentativi dei sindacalisti di impedire l’accesso dei clienti nei supermercati (con intervento dei carabinieri).Non si tratta di un libro che si piange addosso: lo testimonia il ricco capitolo introduttivo, in cui si riassume l’epopea famigliare e imprenditoriale di una persona che ha avuto diversi successi e che, a ottant’anni d’età, può permettersi di togliere qualche sassolino dalla scarpa, con un pamphlet documentato e a tratti ironico. E’ piuttosto la testimonianza di una lotta intergenerazionale contro gli interessi corporativi di qualunque genere: le difficoltà del padre, imprenditore tessile, alle prese con le corporazioni fasciste che lo ostacolavano perché non frequentava il partito. Gli ostacoli del figlio, alle prese con lo stesso sistema fascista ereditato e affinato dal Pci. Il gruppo Coop ha quote di mercato di tutto rilievo. Solo che esse si concentrano nelle “regioni rosse” (Emilia-Romagna, Toscana, Liguria), dove è costantemente sopra al 40%, con picchi del 78% nella provincia di Siena. Un’anomalia che non si spiega con ragioni di mercato: ricerche indipendenti di Panel International attestano prezzi più vantaggiosi presso altri gruppi di grande distribuzione, e il confronto è sfavorevole al gruppo Coop anche dal punto di vista dell’efficienza distributiva e della qualità dei prodotti (il biologico, per esempio, ha in Esselunga un’incidenza più che doppia rispetto a Coop). Non solo: laddove non c’è concorrenza, cioè in quelle aree in cui Coop è riuscita a impedire l’insediamento di concorrenti, i prezzi medi sono incomparabilmente superiori (fino al 20% in più in media) rispetto alle aree in cui invece c’è concorrenza con altri gruppi. La spiegazione la dà non Caprotti, ma lo stesso presidente di Coop Liguria e consigliere di Unipol, Bruno Cordazzo, che, commentando una sentenza favorevole al gruppo Carrefour (ostacolato dal Comune di Genova nella realizzazione di un supermercato), afferma stizzito che «quando si va in casa di altri [Genova, casa di Coop Liguria, ndh] si chiede il permesso» e Coop Liguria è presente nel territorio per la sua «capacità di rapportarsi con le istituzioni» (Secolo XIX, 07.06.05). Rivendica cioè il legame tra partito, amministrazioni locali e cooperative, a danno della concorrenza. Quanto scritto dal fondatore di Esselunga non fa che confermare questa visione sovietica del mercato, così radicata in Emilia-Romagna e Toscana: terreni agricoli che in una notte diventano edificabili per la costruzione di centri commerciali Coop, terreni commerciali svenduti a Coop e, viceversa, prestiti sociali utilizzati non per fini mutualistici ma per comprare a cifre fuori mercato aree da togliere alla concorrenza, piani regolatori modificati dopo l’intervento di Legacoop. Valga su tutti l’esempio emblematico di Bologna. Dove Esselunga, dopo lunghe procedure, acquista nel 1999 un’area per l’edificazione di un supermercato. Come avviene in ogni parte d’Italia, durante i lavori affiorano alcuni resti archeologici su cui il ministro Giovanna Melandri (guarda caso del Pci-Ds, e oggi neo-giovane) pone il vincolo. Viene respinta l’ipotesi di Esselunga di spostare i resti di qualche metro (pratica attuata comunemente per resti di piccole dimensioni), e si chiedono modifiche al progetto che fanno lievitare i costi (la più curiosa è un supermercato sopraelevato con pavimenti di cristallo per consentire a chi compra la verdura di ammirare i resti archeologici). Dopo lunghe trattative, nel febbraio 2000 Esselunga rinuncia alla costruzione del supermercato. Dopo nemmeno due mesi, in aprile, Coop Adriatica compra il terreno e in maggio la Soprintendenza autorizza quello spostamento di resti archeologici che ha vietato tre mesi prima. Coop può così costruire un supermercato, mentre i resti archeologici giacciono in un terreno incolto ricoperti di plastica nera.In un passaggio, Caprotti commenta la cessione, l’ante-vigilia di Natale, a Coop Estense di un terreno di proprietà del Comune di Modena per un prezzo di gran lunga inferiore al valore commerciale, con un «affari loro. Se i cittadini di Modena sono contenti…». In effetti questo è il punto più controverso della questione. Il sistema tentacolare che coinvolge partito, amministrazioni, coop, sindacato e banche rosse non danneggia solo il mercato e i concorrenti, ma gli stessi cittadini. I quali non protestano in massa di fronte alla svendita di un “loro” terreno a un centro commerciale, non pretendono l’apertura alla concorrenza della grande distribuzione e così via. E allora c’è da chiedersi il perché. O questi cittadini sono antropologicamente diversi dagli altri italiani (non nel senso superiore che intende di solito l’élite di sinistra, ma nel senso che sono più scemi), oppure – e qui ovviamente si propende per questa ipotesi – il sistema fascista ereditato dal Pci-Ds ha davvero imbrigliato gran parte della vita economica, culturale e civile di quelle regioni. Ha, in definitiva, imbrigliato la democrazia.
Bernardo Caprotti, Falce e carrello. Le mani sulla spesa degli italiani, prefazione di Geminello Alvi, Marsilio, Venezia 2007, pp. 188.
Etichette: caprotti, comunisti, coop, falce e carrello