Il Reazionario

Sono un reazionario, postero mio diletto, perché mi oppongo al progresso e voglio far rivivere le cose del passato. Ma un reazionario molto relativo, perché il vero bieco reazionario è chi, in nome del progresso e dell'uguaglianza sociale, vuol farci retrocedere fino alla selvaggia era delle caverne e poter così dominare una massa di bruti progrediti ma incivili. (Giovannino Guareschi)

Nome:
Località: Bologna, Bologna, Italy

Studente all'università di Bologna, 21 anni,dotato di scarsa simpatia per il comunismo...

venerdì, dicembre 29, 2006

La right nation sbarca ad hollywood

Ieri sera ho visto il film “Superman Returns”. Ora, io della figura di Superman ho sempre saputo poco, ma mi aveva sempre dato un’ impressione molto, se mi passate il termine, “laica”. Il film in questione invece, è immerso chiaramente nella simbologia Cristiana. La trama in breve: allora, Superman è sparito da qualche anno, e il mondo sembra essersi dimenticato di lui. La sua ex compagna, la giornalista Lois Lane, pubblica un articolo intitolato “perché il mondo non ha bisogno di Superman”. Tra parentesi, la giornalista è sposata con un pilota d’aerei (degnissima persona, non il classico minchione il cui unico ruolo è farsi cornificare) , ed ha un bambino. L’arrivo sulla scena di un malvagio di nome Lhutor, sconvolge l’esistenza dell’intero pianeta. Ma l’arrivo di Lhutor è seguito a ruota dal ritorno di Clark Kent e quindi ovviamente di Superman. Lhutor crede di poterlo schiacciare semplicemente con la Kriptonite di cui si è premunito, ma lo manda solo in ospedale mezzo morto, da cui se la svignerà lasciando che un’infermiera trovi la stanza aperta e il letto vuoto (chi ci ricorda?). Nel frattempo, il bambino ha salvato sua madre dando sfoggio di poteri davvero sospetti, e questo mentre anche il marito di Lois (il pilota) si cimenta in atti di eroismo. Anche qui: la figura del Giusto, destinato ad allevare un figlio dalle doti eccezionali ma non suo, anzi frutto della relazione tra sua moglie e un Essere Superiore, non è del tutto estranea alla nostra cultura. Anche nella fotografia le allusioni si sprecano: quando Superman si frappone tra il mondo e un’ immensa marea d’acqua che altrimenti lo sommergerebbe, assume una posa che ricorda molto la Crocifissione. La faccio breve: se questo film fosse un caso isolato, non varrebbe neanche la pena parlarne: lo bolleremmo come l’opera di un regista un po’ eccentrico. Ma da un po’ di tempo, diciamo pure dall’autunno del 2001, le trame e i contenuti dei film stanno cambiando radicalmente. Prendete, per fare un solo esempio, “Star Wars”. Se i primi tre film (primi in senso cronologico di edizione) erano tutto sommato in linea con il pensiero laicista della fine degli anni ’70, l’ultimo capitolo della saga, “La vendetta dei Sith”, affronta il concetto della lotta tra bene e male da un punto di vista decisamente Cristiano. Non dimentichiamoci poi di film come “Il Signore degli Anelli”e “Le Cronache di Narnia”, che non posso analizzare dal punto di vista religioso soltanto perché dovrei avere una laurea in teologia, tanti sono i riferimenti al Sacro, a tutti i livelli della narrazione. E come non citare quell’incredibile fenomeno culturale che è stato “La Passione di Cristo”? Insomma, in questi ultimi anni, Hollywood ha cambiato radicalmente le sue tematiche. Una moralizzazione della città del cinema? Non credo proprio. Semplicemente “Hollywood è il cuore di un’industria profondamente decentralizzata, inchinata davanti al grande Dio della massimizzazione dei profitti” (dal libro “The Right Nation”). Insomma, Hollywood dà alla gente quello per cui la gente è disposta a pagare. E la gente oggi, soprattutto negli USA, ha una gran fame di Sacro, da contrapporre al Niente di una vita totalmente materialistica e costruita sui dettami del relativismo. Ora, le domande da farci sono due. Questo ritorno del Sacro è solo una moda passeggera, o è un fenomeno destinato a durare e a ingigantirsi?E il bisogno di Sacro della gente comune rimarrà confinato nei cinema, in una sorta di limbo pre-razionale, o strariperà nella vita di tutti i giorni? Possono sembrare domande di poca importanza, ma quando vi sapremo dare risposta conosceremo molto di più sul nostro futuro.

domenica, dicembre 24, 2006

Tanti auguri di Buon Natale















sabato, dicembre 23, 2006

Riflessione amara

Questa strategia criminale dei radicali, alla lunga, pagherà. Ci avevano già provato con Luca Coscioni, ma hanno subito un contrattempo. E' crepato troppo in fretta. Invece, l'agonia di Piergiorgio Welby ha permesso loro di inventarsi la necessità di una legge che regolamenti l'eutanasia. Regolamenti significa, nel linguaggio radicale, consenta. E mi torna alla mente lo scandaloso caso "Roe contro Wade", che aprì la strada all'aborto nell'america degli anni '70. Oppure la tragedia di Seveso, sfruttata dai laicisti di ogni colore politico per terrorizzare le madri di tutta la Brianza(se-non-abortisci-ti-nascerà-un-mostro) e convincerle, appunto, a ricorrere all'aborto. Con un risultato angosciante: le mamme che abortirono si ritrovarono poi tra le mani referti medici che affermavano l'assoluta sanità dei feti. Ecco, il mio pensiero prenatalizio va ai bambini di Seveso, ai Luca Coscioni, ai Giorgio Welby, insomma a tutti coloro che più o meno involontariamente (ma un uomo piegato dalla sofferenza può essere mai del tutto consapevole?) hanno offerto la propria vita sull'altare dell'Anticristo. A loro vanno le mie preghiere, e la mia pietà. Ai laicisti, agli atei, a coloro che sono disposti a violentare la propria coscienza per il gusto di andare contro la Chiesa, il mio disprezzo.

giovedì, dicembre 21, 2006

Consigli x gli acquisti...


Da oggi, a soli 2,5 euro, è acquistabile in edicola il libro "Giù le mani dalla nostra libertà", sui rapporti tra Islam e Occidente. Ve lo raccomando caldamente, e vi anticipo che nei prossimi tempi pubblicherò una serie di post sullo "scontro delle civiltà".Quindi, continuate a seguirmi!

domenica, dicembre 17, 2006

Ci faremo tutti carbonari...

Riporto un articolo di Marcello D'Orta, (per intenderci il maestro del libro "Io speriamo che me la cavo"), [grazie al Mascellaro].Temo sia difficile dargli torto...

Cari lettori vicini e lontani, oggi faremo un po’ di ripasso di Storia: parleremo di Carboneria. La Carboneria (come ogni buon italiano di pur modesta cultura dovrebbe sapere) fu la più importante società segreta italiana (le società segrete erano associazioni clandestine diffuse già nel Settecento, ma si moltiplicarono dopo la rivoluzione francese e soprattutto dopo il Congresso di Vienna).Essa era cosiddetta perché i suoi adepti - appunto i carbonari - comunicavano con i termini dei venditori di carbone. Ne nacque un gergo in cui ad ogni parola corrispondeva un’altra, un linguaggio oscuro ed allusivo che metteva al riparo dai sospetti governativi. Ad esempio: baracche erano detti i luoghi di riunione, buoni cugini gli affiliati, lupo del bosco il nemico, carbone le armi, foresta l’Italia, e così via.Certo, sarebbe stato molto più comodo potersi esprimere alla luce del sole, fissare ad esempio un appuntamento davanti a un soldato nemico e dire: «Allora siamo d’accordo, neh? Ci vediamo stasera alle otto nella sede della Carboneria in via Torino 9, di fronte a Martini, il vinaio... Oh, mi raccomando, non mancare! Stasera si dibatte un tema fondamentale: la cacciata degli Austriaci dall’Italia...». Sì, sarebbe stato molto più comodo, ma bisognava arrangiarsi con il gergo, i gesti (osceni, se si parlava dei tedeschi) o il linguaggio dei sordomuti.Questo accadeva due secoli fa, ma chi crede che non possa accadere ancora si sbaglia. Se si va di questo passo, da qui a qualche anno i cristiani italiani, i cristiani europei (compresi gli Austriaci), e i cristiani del mondo diventeranno tutti carbonari, tutti facenti parte di una setta segreta caratterizzata non già da una forte opposizione ai governi assoluti ma al pensiero (sempre più) dominante. Il pensiero (sempre più) dominante che allestire presepi, cantare canzoncine religiose, esporre crocifissi nelle scuole negli ospedali e nei tribunali eccetera, vale ad offendere l’Islam di casa nostra, ad urtare la sensibilità di chi cristiano non è, a violare la par condicio religiosa.Non c’è giorno in cui televisione o quotidiani non ci informino che in qualche parte del mondo (che da più parti del mondo), un direttore didattico ha vietato la costruzione di un presepe, impedito che si cantassero canti cristiani, cancellata una recita natalizia, bloccato l’ingresso a scuola di un alto prelato; o che il tale grande magazzino ha eliminato il presepe dagli scaffali; o che (finanche!) gli zampognari sono stati scacciati come bestie rognose.Di questo passo, perfino scambiarsi il «Buon Natale» può diventare pericoloso: se infatti dovesse ascoltarci un Adel Smith (quello che battagliò in tribunale per togliere i crocifissi dalla scuola della figlia) o un qualunque preside che ritiene l’Italia «troppo» laica per permettere simili esclamazioni, rischieremmo di fare la fine di Silvio Pellico (nel migliore dei casi) o di Ciro Menotti.Da oggi in poi sarà più prudente scrivere sui biglietti augurali «Buone feste», senza fare alcun accenno al Natale, biglietto che naturalmente dovrà rappresentare un paesaggio «neutro» (tipo Intervallo televisivo degli anni Sessanta) o avere semplici decorazioni liberty.Caro Gesù Bambino, per quest’anno l’Islam ti fa ancora scendere «dalle stelle». Per il futuro non garantisce niente.

Ti salutiamo Nuestro General. Perchè le dittature non sono tutte uguali.


Il 12 dicembre ho letto questo necrologio, sul Carlino Bologna.
L'Associazione Amici del Cile rende onore al GENERALE Augusto Pinochet Ugarte.
Negli anni '70 hai salvato il Cile dal Comunismo Castrista e Sovietico.
Negli anni '80 grazie alla tua politica economica hai trasformato il Cile nella Svizzera del Sud America.
Oggi i media in mano alla sinistra, ti dipingono come il male assoluto, esaltando invece il comunista Castro che ha affamato il tuo popolo. Noi sappiamo che per salvare il Cile hai dovuto compiere azioni gravi e sbagliate che hanno causato lutti, ma gli anni '70 hanno visto un bene e un male combattersi, e tu comunque stavi dalla parte del bne. Hai fatto tutto questo esclusivamente per amore verso il Cile e per dare un futuro migliore al tuo popolo.
Ti salutiamo Nuestro General.
Bologna, 11 dicembre 2006.

Cosa posso aggiungere? Ogni dittatura è un crimine, e ogni cittadino morto per mano dello stato è un disastro. Ma c'è un ma. Pinochet ha fatto il colpo di stato non di sua iniziativa, ma invocato da un popolo che non sopportava più la deriva filocomunista di Allende. Pinochet ha fatto uccidere molte persone (all'incirca tremila, dicono le cifre più attendibili) ma vorrei ricordare che salvando il proprio paese dal comunismo probabilmente ne ha salvate decine di migliaia. Pinochet poi ha attuato una politica economica strepitosa, che fa sentire ancora oggi i suoi benefici effetti sul paese che ora è il più ricco dell'america latina. Pinochet infine, ha consentito, quando è stato il momento, una transizione pressochè indolore alla democrazia. E oggi il Cile è uno dei paesi sudameriani dove la democrazia si avvicina di più agli standard occidentali. Insomma, la dittatura è sempre da condannare. Ma se devo essere costretto a scegliere, molto meglio quella di un Pinochet che non di un Castro.

martedì, dicembre 05, 2006

Un giorno da Liberi



Ho tanta voglia di scrivere per raccontare a chi non è potuto venire (o che è venuto, ma non è riuscito a vedere quasi nulla) la giornata del 2 dicembre, che non ho dubbi si possa definire “epocale”. Epocale perché mille volte al di sopra delle nostre attese. Epocale perché mai prima eravamo stati così uniti. Epocale perché la cornice di Roma l’ha resa tale.
Voglio scrivere, dicevo. Ma da dove comincio?
Beh, innanzitutto dalla gioia di veder pubblicato su Libero del giorno dopo Montecatini il mio appello ad essere a Roma, per quanti fosse possibile. E tantissimi l’anno raccolto – non perché venisse da me, ma perché era quello che tutti sentivamo. Silvio doveva “sentirci” in tutti i sensi, e vi garantisco, ci ha sentiti!
E’ ai primi autogrill, alle prime fermate che, sebbene lontani da dove viviamo, cominciamo a sentirci a casa, tra la nostra gente. Le bandiere si mescolano, i dialetti pure, così come i cori. Ci si riconosce, si parla la stessa lingua.
Prenderemo parte al corteo che partirà dal Circo Massimo, ma già ai primi passi, ci rendiamo conto che sarà veramente lunga. Il via lo dà il calesse ottocentesco con cocchieri in costume. Il corteo è lento, ma ci si diverte. Si intona l’inno di Mameli, si rende omaggio ai militari, gli abitanti salutano. Esponiamo anche noi qualche cartello: “Prodi, kompagno del bue… nel presepe!”; “Il vero ricco non piangerà: fa il manager nella coop rossa trasformata in SpA!”; “No al governo dei cannoni e degli amici di hezbollah!”; “Onore agli eroi di Nassiriya”. E da casa, per mezzo di cellulari ed sms arrivano notizie di una folla oceanica già radunata in Piazza S. Giovanni, tanto che cominciamo a chiederci se potremo raggiungere il comizio o ci dovremo fermare prima. Alla vista dell’Altare della Patria scatta di nuovo “Fratelli d’Italia” e si onorano le forze armate. Superato il Colosseo, magnifico al crepuscolo, incontriamo gruppi fermi ai lati della strada e alcuni che tornano indietro. Cogliamo brandelli di conversazioni al cellulare, tipo: “… no, torno indietro perchè la piazza è stracolma, non passa più nessuno, hanno chiuso…”.
Hanno chiuso? Ci si guarda in faccia e il pensiero è uno: si va! In pochi, una decina la massimo, dietro il portabandiera ci infiliamo di corsa, troviamo ogni passaggio, controcorrente rispetto a chi, deluso, torna indietro. Ogni tanto ci si volta e si è sempre meno, la folla è fitta e si mangia poco a poco il nostro serpentone improvvisato. Quando non sento più tirare il giubbotto, so che siamo rimasti in tre. E in tre continuiamo, di corsa, avvinghiati l’uno all’altro. L’intuizione del portabandiera ci conduce finalmente alla Piazza mentre Silvio sta per cedere la parola. Siamo lontanissimi dal palco, ma non ci sentiamo perduti. Scavalchiamo un paio di transenne e ci portiamo sul sagrato della chiesa, di qui vediamo una parte del palco e benissimo il megaschermo. Le parole di Fini e Bossi infuocano la piazza, ma è Silvio che, col suo saluto fa salire l’emozione, fino alle lacrime, sì.
Non si descrive una tale emozione, il ruggito di libertà che non si fa isteria, ma fratellanza. Il colpo d’occhio della piazza è una tempesta di tricolori, potrà sembrare scontato, ma è una tempesta di libertà. Siamo ancora lì a gridare di gioia, a far sentire che ci siamo, a vibrare d’ammirazione per il nostro leader, che già ci sentiamo un po’ orfani. Già pensiamo al nostro ritorno fin nei soviet più remoti di questa repubblica socialista che per cinque anni ha potuto dirsi libera. Ma, lo stesso, il peso della giornata non si sente, verrà il tempo della stanchezza. Siamo ancora tutti lì col cuore, e lì resteremo. Un giorno da liberi. Un giorno in cui si è veramente potuto cantare “L’Italia s’è Destra”!
(Rosin1979)

Sono felice di pubblicare questa testimonianza di Rosin, perchè si tratta della forma più alta di cronaca: quella delle emozioni. Mi sono permesso soltanto di cambiare il titolo: Rosin avrebbe voluto "cronaca di una giornata epocale" (cosa assolutamente vera) ma io ho preferito usare le sue parole, "un giorno da Liberi". Perchè rappresenta la vera essenza di giornate come questa. Soltanto uomini e donne che hanno la libertà nel cuore possono sfidare la levataccia, il freddo di dicembre, i disagi della trasferta, le ironie degli amici comunisti (ma-che-ci-andate-a-fare-in-piazza-sarete-in-quattro-gatti, noi-in-piazza-ci-andiamo-in-tuta-da-operai-voi-con-la-pelliccia-e-dolce-e-gabbana, e simili idiozie) per una fede. E questa fede è la fede nella Libertà. Perchè, parliamoci chiaro, gira e rigira la differenza profonda tra destra e sinistra è proprio questa. Noi crediamo nella Libertà, loro no. Certo, loro fanno credere agli stolti e agli ingenui di essere i veri custodi della libertà, perchè sono a favore dell'aborto, dell'eutanasia, della droga libera. Ma queste sono libertà false, libertà della morte. E' la libertà di poter dare del tu al boia. Sai che culo. A destra invece si crede (non tutti, purtroppo, ma la maggioranza si) nelle libertà della Vita. La libertà di esprimere massimo le proprie potenzialità, come figli, come genitori,come studenti, come lavoratori,come patrioti, come credenti, come Occidentali. La libertà delle classi operose dalle pastoie e dai lacci di uno stato oppressivo che limita la realizzazione dei sogni individuali.
La libertà dei cittadini onesti e perbene dalle minacce dei criminali, la libertà di poter vivere la propria vita in sicurezza. La libertà di poter professare la propria Fede, in piena sintonia con la laicità dello stato. La libertà di potersi dire, con orgoglio e senza alcun tipo di vergogna, Italiani, Europei e Occidentali. Io credo in queste Libertà. E per queste Libertà combatto, e combatterò, finchè avrò fiato. A fianco dei milioni che a Roma hanno fatto sentire la loro voce.

domenica, dicembre 03, 2006

Ecco a voi The Right Italy!


Grazie a tutti per questa manifestazione storica!Grazie a Silvio, a Gianfranco e a Umberto, e soprattutto grazie ai 2 milioni e passa che hanno testimoniato, una volta per tutte, che la gente è stufa di Prodi e dei suoi comunisti, e appena ne avrà l'occasione lo manderà a casa. Vi lascio con la riflessione, eccellente e puntuale, di Fausto Carioti:
Primo. Siano stati oltre due milioni gli italiani scesi in piazza a Roma, come dice Silvio Berlusconi, o siano stati un terzo di questa cifra, come trapela dalla questura, non cambia molto. Il dato importante è che in piazza c'era molta più gente di quanta se ne aspettassero tutti, a destra come a sinistra. E questo è incontestabile.Secondo. Al di là degli slogan roboanti, che in circostanze come queste sono necessari, nessuno si aspetta che Romano Prodi si dimetta perché in piazza è scesa molta più gente del previsto. Il valore di certe manifestazioni è simbolico, non pratico né immediato. Ma in politica i simboli contano, eccome.
Terzo. La sinistra ora sa che non ha il monopolio della piazza. Anche dall'altra parte sono bravi a evocarla, con risultati, in termini numerici, assolutamente comparabili a quelli della sinistra. Pur non potendo contare sulla macchina organizzativa di Cgil, Cisl e Uil.
Quarto. Il messaggio a sinistra sembrano averlo capito in molti. Come confermano le dichiarazioni a caldo, prudenti ed estremamente rispettose, di diversi esponenti dell'Unione, primo tra tutti Romano Prodi. Il quale, solo pochi giorni fa, aveva di fatto dato dei "senza cervello" a quelli che sarebbero scesi in piazza a Roma. Accusa che oggi si è guardato bene dal ripetere. A dimostrazione del fatto che la prova di forza è servita e ha impressionato il governo e la maggioranza. Fossero stati in cinquantamila, quelli di piazza San Giovanni, su di loro sarebbero piovuti gli sberleffi della sinistra. "Size matters", le dimensioni contano.
Quinto. Sempre a livello simbolico, il passaggio di consegne tra Berlusconi e Gianfranco Fini è stato evidentissimo. Anche qui, ovviamente, niente di concreto e di immediato. Ma siccome, appunto, i simboli contano, e certe coreografie non avvengono mai per caso, le parole di Berlusconi per Fini e quelle di Fini per Berlusconi fanno trasparire un accordo, implicito o esplicito poco importa: Fini oggi è il successore designato alla guida della Cdl, ruolo che lui accetta impegnandosi a non rompere le scatole a Berlusconi. Fini (autore di un discorso più brillante di quello di Berlusconi, diciamolo) che indossa i panni del padrone di casa (per la prima volta in un evento della Cdl) e introduce Bossi alla piazza ha avuto un impatto visivo fortissimo. Forse il domani è davvero suo. Fini, ovviamente, si è anche giovato del fatto di essere l'unico, sul palco, in perfetta salute. E si vedeva. E pure questo conta.
Sesto. Il fatto che Pier Ferdinando Casini non fosse in piazza, da un lato rende ancora più evidente l'asse Berlusconi-Fini, dall'altro - visto il successo della manifestazione di Roma e visto che a Palermo c'era persino meno gente di quanta l'Udc ne avesse preventivata, e di certo non aspiravano a grandi numeri - mette all'angolo Casini. Del quale, sicuramente, c'erano più elettori a Roma che a Palermo. Voleva essere lui quello che abbandonava gli altri, ma alla fine quello abbandonato è sembrato lui.
Settimo. E' stata una manifestazione di estrema civiltà. Nessuna bandiera bruciata. Nessun fantoccio impiccato. Niente riti tribali. Una manifestazione "contro" (contro chi vuole levarci una fetta di libertà), ma priva di quell'odio antropologico cui ci ha abituati la sinistra di piazza. Ed è bello vedere centinaia di migliaia di persone in piazza applaudire gli agenti di pubblica sicurezza impegnati a tenerli d'occhio. Il fatto che da sinistra qualcuno, più disperato degli altri, si sia aggrappato al fatto che Fini si è dovuto far accompagnare in moto senza indossare il casco, testimonia meglio di ogni altra cosa che proprio non avevano alcun appiglio decente. Poi, da sinistra, di certo qualcuno se la prenderà con i pochissimi che hanno fatto il saluto romano. Dovessimo fare lo stesso ogni volta che qualcuno alza il pugno chiuso nelle loro manifestazioni o si presenta con una maglietta di Che Guevara, ne avremmo per mesi.
Ottavo. Io, piuttosto, ho visto bandiere di partiti dell'estrema destra vicino a una grande bandiera di Israele. Era la prima volta che vedevo qualcosa di simile, ed è stato bello.

p.s. qui, nei prossimi giorni, le foto e i filmati...

venerdì, dicembre 01, 2006

Ma che cavolo c'entri con l'Occidente?

a sinistra: Napolitano, quando ancora non faceva finta che il Papa gli stesse simpatico.
AGI) - Roma, 30 nov. - I paesi occidentali devono aprirsi alla conoscenza della cultura dei paesi asiatici "senza presumere di essere portatori di una civilta' superiore". Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, chiudendo la giornata dell'Asia e del Pacifico a Villa Madama. Il Capo dello Stato ha parlato di "secondo scambio fra le nostre culture non trascurando anche la dimensione religiosa" e ha ribadito che in questo dialogo con le culture orientali l'Italia e l'Europa "possono immettere un ricco patrimonio: un patrimonio antico e recente di civilta'" che si riassume "nell'imperio del diritto, nel rispetto del pluralismo, nel riconoscimento dei diritti individuali e collettivi e nella fedelta' ai principi di liberta' e di democrazia e nell'economia sociale di mercato". Ma se l'Occidente "non rinuncia a tali valori - ha aggiunto Napolitano - dobbiamo tuttavia disporci al confronto senza vecchie presunzioni e senza devianti e paralizzanti timori. Senza presumere cioe' - ha sottolineato - di essere portatori, come occidentali, di una civilta' superiore e aprendoci invece a un maggiore sforzo di conoscenza di civilta' non meno ricche, come la recente significativa letteratura sui valori asiatici ci induce a comprendere". L'invito del presidente della Repubblica, e' quello, gia' tante volte ribadito di "non cedere ad atteggiamenti difensivi e ad anacronistiche tentazioni protezionistiche in campo economico, ma anche a guardinghe chiusure in campo culturale".
Caro Napolitano, tu non sei la persona più adatta a parlare di Occidente. Perchè? perchè sei comunista. Ovvero, perchè per decenni e decenni hai sostenuto un'ideologia che dell'Occidente è l'antitesi. Quindi, è logico che non ci tieni tanto ai valori di cui l'Occidente è portatore. Hai dedicato la tua vita a tentare di distruggerli.
P.s. per gli smemorati, ecco il discorso che Napolitano pronunciò mentre l'Armata Rossa, nel 1956, sterminava gli ungheresi:
Come si può, ad esempio, non polemizzare aspramente col compagno Giolitti quando egli afferma che oltre che in Polonia anche in Ungheria hanno difeso il partito non quelli che hanno taciuto ma quelli che hanno criticato? È assurdo oggi continuare a negare che all'interno del partito ungherese - in contrapposto agli errori gravi del gruppo dirigente, errori che noi abbiamo denunciato come causa prima dei drammatici avvenimenti verificatisi in quel paese - non ci si è limitati a sviluppare la critica, ma si è scatenata una lotta disgregatrice, di fazioni, giungendo a fare appello alle masse contro il partito. È assurdo oggi continuare a negare che questa azione disgregatrice sia stata, in uno con gli errori del gruppo dirigente, la causa della tragedia ungherese. Il compagno Giolitti ha detto di essersi convinto che il processo di distensione non è irreversibile, pur continuando a ritenere, come riteniamo tutti noi, che la distensione e la coesistenza debbano rimanere il nostro obiettivo, l'obiettivo della nostra lotta. Ma poi ci ha detto che l'intervento sovietico poteva giustificarsi solo in funzione della politica dei blocchi contrapposti, quasi lasciandoci intendere - e qui sarebbe stato meglio che, senza cadere lui nella doppiezza che ha di continuo rimproverato agli altri, si fosse più chiaramente pronunciato, che l'intervento sovietico si giustifica solo dal punto di vista delle esigenze militari e strategiche dell'Unione Sovietica; senza vedere come nel quadro della aggravata situazione internazionale, del pericolo del ritorno alla guerra fredda non solo ma dello scatenamento di una guerra calda, l'intervento sovietico in Ungheria, evitando che nel cuore d'Europa si creasse un focolaio di provocazioni e permettendo all'Urss di intervenire con decisione e con forza per fermare la aggressione imperialista nel Medio Oriente abbia contribuito, oltre che ad impedire che l'Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, abbia contribuito in misura decisiva, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell'Urss ma a salvare la pace nel mondo. Cosa c'entrano queste parole con l'Occidente?